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giovedì 26 aprile 2012

VITA ALL'ESTERO: MI TRASFERISCO A VIVERE A KINSHASA

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Saltuariamente vi propongo dei racconti di mie esperienze di vita all’estero. Non compongono certamente un diario (non finirei più, ho iniziato a  vivere all’estero dal 1984!), sono piuttosto delle isolate pagine, degli sprazzi di racconti di vita che possono dare un’idea di cose che succedono qua e la nel mondo. Perchè racconto questo piuttosto che quello? Assolutamente casuale, quello che mi viene in mente al momento senza  altre ragioni. In questo caso è il breve resoconto del viaggio di trasferimento per andare ad abitare in Africa, nel Congo.


Come esperto del nostro Ministero degli Esteri anni fa fui nominato capo del progetto d'aiuto umanitario d'urgenza per la “Smobilitazione e reinserimento sociale dei bambini soldato nella Repubblica Democratica del Congo”. 
Ero entusiasta oltre che per andare a vivere in Africa, anche per il fatto di ritornare ad occuparmi di quello specifico settore d'intervento, aiutare migliaia di bambini è qualcosa che fa bene allo spirito ed avevo già lavorato nelle urgenze umanitarie in America latina per i rifugiati delle dittature militari. Salutai gli amici e partii dopo pochi giorni.



Non conoscevo l'Africa però e la prospettiva di scoprire nuove culture, popolazioni, natura, comportamenti, odori e colori, ancor di più mi elettrizzava e caricava d'energia.
Probabilmente anche per questo non patii la lunghezza del viaggio assai stancante nonostante i privilegi della prima classe del biglietto ministeriale. 
Dopo molte ore si fa un primo lungo scalo ad Addis Abeba. Sei ore d'attesa in una grande hall gremita da persone di svariate etnie africane, una fantasia di colori, abiti, lingue, gesti.
Mi accompagnava Pedro, il nostro Ambasciatore di ritorno dalle vacanze in Italia, gentile, spontaneamente informale, colto, impegnato ed intelligente, grande appassionato e studioso di storia.
Per fortuna c'era un bar dove passammo ore raccontandoci di tutto un poco e bevendo birra locale. Osservavamo con attenzione quella varietà umana, era come essere nella hall di un astroporto intergalattico dove anche la mosca era un viaggiatore del pianeta Osca. I differenti odori del cosmo erano sconosciuti ed indicavano differenti speranze, ansie e destini.
La birra era simile, forse era in franchising dal pianeta Terra ma la spuma iridescente rivelava future sconosciute avventure. I suoni si intrecciavano a casaccio, indistinguibili se non dai brividi interrogativi che ognuno d’essi era capace di provocare senza lasciare alcuna traccia di comprensione. Da quelle parti i ricordi sono più antichi dell’uomo, le mani sanno ancora come camminare sul terreno e farsi capire a gesti. Le fronde degli alberi sono attraenti e benevole mentre l’oscurità della notte è esorcizzata dalla vicinanza degli altri.
Poi altro aereo, sull'altopiano etiopico si sorvolano strane formazioni circolari, macchie ad intervalli regolari di verde intenso della bassa vegetazione e dello scuro marrone della terra brulla. Ombelichi geologici, disegni alieni, sconosciute formazioni mitologiche, materializzazioni esoteriche o enormi cataste di sterco di vacca?
Molte altre ore di volo sorvolando la “Reef Valley” quell'immenso canyon africano che corre da Nord a Sud per migliaia di chilometri. E corre e corre e non termina mai, dove, quando, perché, sarà che si fermerà?
Arriviamo a Nairobi dove si fa brevemente scalo senza cambiare aereo e si riparte per Kinshasa, nostra destinazione finale.
Finalmente arriviamo, stanchi e mentalmente stropicciati come una giacca di lino. Alla scaletta dell'aereo grazie a Pedro c'è ad attenderci una piccola delegazione di carabinieri dell'Ambasciata che prendono in consegna i nostri passaporti e ci fanno strada per un percorso differente da quello preso dagli altri viaggiatori.
Niente dogana, niente burocrazia, niente file e al di la di una porta ci ritroviamo nel settore ritiro bagagli. Un formicaio al quale date un calcio sarebbe più ordinato e tranquillo, anche Dante sarebbe uscito sorpreso e frastornato da quella bolgia africana, centinaia e centinaia di persone che spingevano, si accalcavano, urlavano, per cercare d'arrivare vicino ad un presupposto nastro trasportatore che neanche si vedeva. Ma esisteva realmente?
Io davo già per scomparse le nostre valige ma due carabinieri ci scortarono in un angolo più tranquillo mentre gli altri militi apparirono miracolosamente subito dopo con i nostri bagagli (generose mance o speciali contatti con la polizia locale? Mah...).
Appena usciti dall'aeroporto salimmo su due veicoli blindati (mmmh..., brutto segno ma d'altronde eravamo in un paese con una guerra sul suo territorio da oltre 20 anni). Il perimetro delle piste d’atterraggio era protetto da artiglieria pesante e carriarmati.
La strada che percorremmo per diversi chilometri verso il centro della città era percorsa sui due lati da migliaia di persone che camminavano spedite trasportando ogni tipo di oggetti, animali, prodotti, chi in una direzione, chi nell'altra. Il Sottosegretario agli Esteri Serri in visita al paese qualche tempo prima aveva posto la stessa domanda che ora mi stavo ponendo: che ci faceva tutta sta gente a piedi in mezzo al nulla? Stava succedendo qualcosa? Semplicemente erano persone che si spostavano.
Da noi ci si sposta con qualche mezzo, che sia bicicletta, auto, autobus, treno. In zone rurali dell' America latina spesso con asini, cavalli e via dicendo. Nel centro Africa invece la maggior parte della popolazione si sposta a piedi, a volte anche per molte decine di chilometri.Tutte quelle migliaia di persone semplicemente si spostavano per andare a casa o al lavoro, per viaggiare o per raggiungere la città. Nel paese c'erano pochissimi mezzi pubblici tutti sgangherati e limitati alla zona urbana della capitale e naturalmente erano poche le persone che potevano permettersi un mezzo privato che fosse anche solo una bicicletta.
Da quelle parti non vi sono cavalli, asini, buoi, unicorni o sirene, nessun animale da lavoro, neanche per tirare un carretto, arare la terra, trasportare fieno o fascine di legna. Si fa tutto a mano e camminando.
Non so ancora il perché della mancanza di animali da lavoro, forse se li sono mangiati tutti (ugualmente non ricordo d'aver visto cani o gatti a Kinshasa... anche i topi cominciavano a scarseggiare. Sembra una battuta ma 20 anni di guerra nella foresta con decine, centinaia di migliaia di soldati senza cibo hanno fatto sparire e digerire quasi tutta la fauna tropicale dell’Africa centrale).
Forse invece cavalli, asini e compagnia non resistono al clima od alle malattie locali o ai parassiti, chissà.
Arrivammo al centro di Kinshasa chiamato “Gombé” (mentre il resto della città era la “Cité”) e mi depositarono al mio hotel.
Ero arrivato in Congo! Il giorno dopo avrei iniziato a lavorare in Africa!






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